Coriano

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Inceneritori (morto di tumore a 12 anni)

Scritto da Renato Soffritti on . Postato in Ultime

Morto di tumore a 12 anni


Inceneritori sotto accusa

Fonte: il Resto del Carlino di Forli

l bambino viveva a Coriano, quartiere della città dove si trovano i due inceneritori di Hera e Mengozzi, e nel 2006 era stato colpito da tumore alla prostata. Per i genitori la malattia sarebbe stata causata dai fumi degli impianti. Il 19 settembre ci sarà una nuova udienza del processo

Forlì, 23 luglio 2009 - Aveva 12 anni e la luce del cielo attaccata agli occhi. È morto domenica per un tumore alla prostata: «Patologia rarissima a quell’età» dicono i medici. La vita e ora la morte del piccolo — la notizia è stata diffusa dopo i funerali di ieri — sono da tre anni il nucleo di una battaglia legale che da questo momento, se possibile, acutizzerà tutti i suoi angoli. I genitori puntano il dito contro le emissioni in atmosfera della coppia di inceneritori di Coriano — Hera e Mengozzi — accusati in tribunale d’essere alla base della malattia del figlio (residente proprio lì, nel quartiere dei due camini).

L’accusa formalizzata dal pm Filippo Santangelo — che dal disperato esposto della madre e del padre del bambino malato ha elaborato un procedimento ancora in fase introduttiva — è quella di lesioni colpose. Ma adesso è facile supporre che Santangelo muterà l’ipotesi in omicidio colposo. Così la sfida processuale inasprirà i toni, perché gli attori della lizza — giudici, avvocati e periti — non conoscono la pietà di una vita ammutolita a 12 anni. Vita che rischia di assurgere a simbolo, un prezioso dono offerto all’altare di una battaglia civile.

L’itinerario penale è alla stazione di raccolta delle prove ‘irripetibili’ (incidente probatorio). Il giudice Michele Leoni ha riunito attorno a un tavolo quattro esperti e ha ordinato di passare al setaccio ogni aspetto dell’attività dei due inceneritori. Due gli indagati (15 le parti offese, tra cui i genitori del piccolo, Wwf e il ClanDestino): Claudio Dradi, 56 anni, di Hera, ed Enzo Mengozzi, di 62, titolare dell’omonima ditta. L’accusa è abuso d’ufficio, falso ideologico, lesioni personali colpose e getto pericoloso di cose (ipotesi legata alle emissioni in atmosfera).

I quattro luminari delegati dal giudice (Roberto Montagnani, Davide De Dominicis, Livio Scatto e Mauro Sanna) hanno lavorato per un anno e mezzo. E adesso spiegano in aula lo stato di salute dei due comignoli sotto accusa. Ci sono state tre udienze. E il dato fondamentale che è emerso è che gli impianti sarebbero stati «anomali prima del 2005». Il 19 settembre si parlerà del presunto nesso tra esalazioni e malattia del bimbo. Da alcune indiscrezioni sembra che gli esperti abbiano escluso collegamenti di causa-effetto tra fumi e tumore. Ma altri studi direbbero il contrario. Il 19 settembre ne sapremo di più.

Maurizio Burnacci

 

 


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fonte: Coordinamento dei Comitati della Piana di Firenze Prato e Pistoia

Addio, Massimiliano

di Antonietta M. Gatti (la dott.ssa è la moglie del prof. Stefano Montanari)

Ieri è morto Massimiliano un bambino di Forlì a cui non è stata data la possibilità di avere un futuro. E’ morto all’età di 11 anni per una rara forma tumorale, un rabdomiosarcoma cresciuto fra la vescica e la prostata. Dopo anni di sofferenza, che non dovrebbero toccare i bambini, se ne è andato col suo carico di metalli pesanti dentro il corpo.
Avevo analizzato i campioni bioptici del bambino e avevo trovato metalli anche in forma molto sottile: nanoparticelle.
A parte una particella di Oro e Argento, la cosa più sconvolgente è l’aver trovato nanoparticelle di Tungsteno e/o carburo di Tungsteno. Ora uno si chiede come sia possibile  l’ingresso di queste polveri nel corpo di un bambino. Non è un metalmeccanico che lavora in fabbrica. L’unica sua colpa è di aver vissuto in una casa costruita fra due inceneritori : uno di rifiuti urbani ed uno di rifiuti ospedalieri. L’aria, ma pure il cibo dell’orto, non sono dei  migliori da quelle parti. Se n’è andato ed io, pur sapendo, non sono stata in grado di fare niente.
Nei miei studi avevo già indotto nei topi lo stesso tipo di cancro semplicemente impiantando nei loro muscoli nanoparticelle (una pratica che cerco di evitare sempre, ma quella volta non si poteva fare altrimenti). Tutti quelli che avevano ricevuto nanoparticelle metalliche si erano ammalati di rabdomiosarcoma. Quindi la correlazione fra un inquinamento ambientale molto particolare e la stessa patologia a mio parere è dimostrato.
Purtroppo non solo queste evidenze non devono essere dette: questi studi non vanno addirittura fatti.
Il 30 Giugno scorso l’avv. Bortolani, presidente della ONLUS, proprietaria legale del microscopio comprato grazie alla sottoscrizione lanciata da Beppe Grillo per studiare le nanopatologie, ha deciso di donare l’apparecchio all’Università di Urbino. La suddetta non ha mai acconsentito a farci entrare nel Consiglio di Amministrazione della ONLUS per la gestione trasparente economica e scientifica dello stesso, con la scusa che questa è una ONLUS famigliare che si occupa solo di delinquenti o presunti tali condannati per i loro reati alla pena di morte in America. I bambini si ammalino pure o muoiano: non interessano.
Ora, senza neanche informarci, la suddetta decide di donare il microscopio per altre finalità all’Università di Urbino con la clausola che noi lo possiamo usare “almeno” un giorno alla settimana. E’ ovvio che, abitando a Modena, la cosa non risulta facile non solo per me, ma soprattutto per i tesisti che lavorano con il microscopio. Con un lavoro “almeno” 1 giorno alla settimana questi rischiano di laurearsi fra 10 anni. Per non parlare del Progetto Europeo che io coordino che è ancora in corso.
Sono andata all’Università di Urbino dando la mia disponibilità a trasferirmi presso la loro sede. M i hanno risposto che tecnicamente è possibile, ma inattuabile.
Ho poi verificato che, così come hanno impostato le cose, ricerche su tessuti patologici non sono tecnicamente possibili. Dal momento che poi non ci sono scienziati esperti della materia (le nanopatologie sono una disciplina che è il risultato di un progetto europeo che io coordinavo), il microscopio servirà per altre finalità, non per quelle per cui era stato donato.
La motivazione addotta dall’avv. Bortolani per tale azione rasenta la  diffamazione nei miei confronti e si può facilmente dimostrare che si tratta di bugie.  Io ho lavori scientifici sulle nanopatologie e pure sulla nanotossicologia scritti anche con scienziati stranieri, non solo, ma io non sono affatto pagata per questa attività che svolgo part time pur di continuare gli studi sulle nanopatologie. Anche con la chiusura delle attività imposta dall’avv. Bortolani, però, non si pensi di imbavagliarmi:  io continuerò ad andare in tribunale per difendere gli interessi di chi è vittima di persone perverse che compiono atti perversi sull’ambiente e su di loro, e lo farò con le analisi già eseguite. La famiglia di Massimiliano sa che può contare sul mio aiuto e, come loro, tanti altri. Ho già informato il Ministro della Difesa che non farò più alcuna analisi sui soldati perché mi sarà impossibile. La legge che recentemente è stata promulgata compensa chi si è ammalato per esposizioni di nanoparticolato bellico, che io ho dimostrato essere presente nei tessuti.
In questa situazione dichiaro che non sarà più possibile analizzare i tessuti di nessuno e che le nanopatologie sono morte.
Chiedo solo che i miei ragazzi riescano a finire le loro tesi.
Auguro all’Avv. Bortolani di non essere disturbata dal rimorso.


Dal Vangelo di S. Matteo

Il tradimento di Giuda
Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: «Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d'argento. Da quel momento cercava l'occasione propizia per consegnarlo.

Morte di Giuda
Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «Che ci riguarda? Veditela tu!». Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi.

 

Chi è Antonietta Morena Gatti

Il termine nanopatologia è stato concepito nel 1999 dalla dottoressa Antonietta Morena Gatti, ricercatrice presso l'Università di Modena e Reggio Emilia, con l'intenzione di includere in una categoria specifica le patologie che sono sospettate di essere causate da particelle inorganiche di dimensione nanometrica, malattie per ora classificate come criptogeniche (cioè di eziologia ignota). L'attribuzione della causa delle patologie alle "nanoparticelle" è stata ipotizzata a seguito di alcune scoperte accidentali su alcuni pazienti che presentavano sintomi anomali (e nei cui tessuti erano state rilevate micro- e nanopolveri inorganiche di natura esogena) e come sviluppo delle indagini sulle patologie dei soldati in zone di guerra (sindrome del Golfo e sindrome dei Balcani, effettuate in collaborazione con il Department of Materials and Metallurgy dell'Università di Cambridge e l'Institute of Pathology presso la Johannes Gutenberg Universität di Magonza) e nel poligono di tiro militare di Perdasdefogu e di Capo San Lorenzo in Sardegna, dove si era constatato un incremento nei casi di Linfoma di Hodgkin (sindrome di Quirra) anche tra la popolazione civile a Villaputzu.

L'autrice, dottoressa Gatti, è stata ed è consulente della commissione senatoriale italiana che, nel corso della XIV e XV legislatura, ha indagato e indaga sulle malattie da uranio impoverito. Sentita in qualità di esperto, ha dichiarato:
« rimangono aperti gli interrogativi [...] circa i danni a lungo termine per la salute dei militari e delle popolazioni residenti che potrebbero derivare dall'esposizione ai particolati fini e ultrafini che si disperdono nell'ambiente in occasione di combustioni ad altissime temperature »

concludendo con un auspicio che la commissione italiana si attivi presso gli enti competenti dellUnione Europea e della NATO perché sia progettato e realizzato uno studio di carattere scientifico sulla questione.

A seguito delle sue ricerche in ambito militare, la dottoressa Gatti è stata invitata a relazionare presso la Camera dei Lords di Londra dalla comissione britannica impegnata sul tema.


 

Sos microscopio Stefano Montanari

Fonte: Nota della redazione di Ecce Terra

Riceviamo la richiesta di aiuto, assieme alla sintesi della vicenda, del dott. Stefano Montanari per cercare di salvare il microscopio che gli stanno portando via.

La storia del come c’impedirono l’uso del primo microscopio elettronico è stata raccontata un’infinità di volte, compresa quella, in dettaglio, del mio libro Il Girone delle Polveri Sottili. Quindi, non annoierò nessuno raccontandola di nuovo.

Il fatto è che, ad un certo punto della nostra ricerca sulle malattie da micro e nanopolveri – una scoperta tutta nostra e riconosciuta dalla Comunità Europea e dalle Nazioni Unite (FAO) – qualcuno si accorse che davamo troppo fastidio e cercò di fermarci. Anzi, cercò d’imbavagliarci, per usare le parole di Beppe Grillo che lanciò una raccolta di fondi per comprare un altro apparecchio.

Si cominciò a raccogliere denaro, io andavo in giro con Grillo a fare un pezzetto di spettacolo, facevo conferenze, oltre 200 in un anno, e, insomma, nel giro di dodici mesi si racimolò il necessario.

Qui io commisi l’errore imperdonabile di lasciare che ad una signora di Reggio Emilia, tale Marina Bortolani, avvocatessa e presidentessa di una onlus molto personale, arrivasse il denaro e poi s’intestasse il microscopio. A me la cosa non interessava, perché dell’apparecchio mi serviva l’uso e non certo la proprietà. A raccolta in corso, m’insospettì il fatto che io non potevo avere accesso al conto bancario delle donazioni per controllarle e non mi fu concesso di entrare nel consiglio della onlus, ma ormai eravamo in ballo.

Oggi, a sorpresa e tradendo chi aveva versato il suo soldino perché il microscopio finisse a mia moglie (uno scienziato di livello mondiale) e a me, la signora Bortolani, senza nemmeno avvertirmi se non con una raccomandata a giochi ormai fatti e addirittura dopo un atto notarile, “dona” il nostro microscopio all’Università di Urbino, privandoci della possibilità di continuare la ricerca.

Mentendo pubblicamente, la signora in questione afferma che questa “donazione” così bizzarra, avvenuta dopo lunghissime trattative con Urbino svolte di nascosto come si conviene quando si fa qualcosa di non proprio onorevole, era nei nostri accordi, quando tutta la documentazione la smentisce e quando tutta la documentazione riporta con chiarezza che di quel microscopio possiamo disporre noi e nessun altro. Afferma che il microscopio era sottoutilizzato da noi, quando lo usiamo per circa 8 ore ogni giorno e spesso anche di notte in modalità automatica. Afferma, insultandoci ancora, che il microscopio noi lo usiamo “a scopo di lucro”, quando le entrate del laboratorio coprono una frazione minima delle spese di ricerca e nessuno, tanto meno la signora in questione, ci dà un aiuto.

In modo a dir poco stravagante, afferma che, comunque, noi potremo usare il microscopio “almeno un giorno la settimana” (a 230 km da casa nostra), quando la nostra ricerca lo richiede continuamente, quando ad Urbino non esiste nessun laboratorio attrezzato per le necessità di quella ricerca, quando non c’è un tecnico che sappia preparare i campioni da osservare e quando tutta l’Università di Urbino non ha pubblicato un singolo lavoro sulle nanopatologie, cioè l’argomento di ricerca per il quale sono stati chiesti soldi alla gente. Insomma, io ti chiedo del denaro per fare una cosa, tu il denaro e io faccio quello che mi salta in testa in quel momento, ma che non era ciò che ti avevo detto.

Il tutto, poi, spacciato da una persona che non è mai venuta a vedere che cosa facciamo, che non ci ha mai risposto al telefono o alle e-mail e che è di un’ignoranza assoluta per quanto riguarda qualsiasi argomento scientifico.

Perché questo sconcio? Beh, diamo fastidio e toglierci di mezzo può fare comodo a qualcuno.

Perché diamo fastidio? Chi conosce le nostre ricerche e i nostri risultati, anche pratici, sugl’inceneritori e le centrali a biomassa sa di che cosa parlo. E così per le patologie dei militari ammalati da Sindrome del Golfo e dei Balcani. E così per le malformazioni fetali da inquinamento. E così per tante altre ricerche che hanno disturbato interessi ricchissimi. E che dire degli alimenti e dei farmaci di cui continuiamo a scoprire magagne enormi e nascoste?

Ora noi stiamo cercando d’impedire questo “trasloco” che avrà, tra i mille effetti collaterali, anche quello di non fare laureare i tre ragazzi che stanno preparando la tesi nel nostro laboratorio. Così chiediamo l’aiuto di tutti coloro che un soldino l’hanno messo e di tutti coloro che il soldino non l’hanno messo ma, indipendentemente da ideologie, da simpatie o da altre considerazioni, si trovano d’accordo con Voltaire nel riconoscere il diritto a chiunque di perseguire la propria scienza.

La sua sintesi termina con questa richiesta:

Per favore, scrivete al dott. Enzo Fragapane, direttore amministrativo dell’Università di Urbino ( Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo ), perché si fermi, e mettetevi in contatto con l’avvocato Alfonso Bonafede di Firenze ( Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo ).

Se il microscopio se ne andrà, la nostra ricerca morirà, e un pezzo di dignità di tutti sarà stato messo in vendita ed effettivamente venduto.

Stefano Montanari

Bibiografia di Stefano Montanari:

Stefano Montanari, bolognese di nascita (1949), modenese di adozione, laureato in Farmacia nel 1972 con una tesi in Microchimica, ha cominciato fin dai tempi dell’università ad occuparsi di ricerca applicata al campo della medicina. Autore di diversi brevetti nel campo della cardiochirurgia, della chirurgia vascolare, della pneumologia e progettista di sistemi ed apparecchiature per l’elettrofisiologia, ha eseguito consulenze scientifiche per varie aziende, dirigendo, tra l’altro, un progetto per la realizzazione di una valvola cardiaca biologica.
Dal 1979 collabora con la moglie Antonietta Gatti in numerose ricerche sui biomateriali.
Dal 2004 ha la direzione scientifica del laboratorio Nanodiagnostics di Modena in cui si svolgono ricerche e si offrono consulenze di altissimo livello sulle nanopatologie.
Docente in diversi master nazionali ed internazionali, è autore di numerose pubblicazioni scientifiche.
Da anni svolge un’intensa opera di divulgazione scientifica nel campo delle nanopatologie, soprattutto per quanto riguarda le fonti inquinanti da polveri ultrafini.

Curriculum Vitae
Stefano MontanariStefano Montanari, nato a Bologna il 7 giugno 1949

1972: Laurea in Farmacia presso l’Università di Modena con una tesi di Microchimica

1972 –1979: Consulente tecnico di BOSA S.p.A. – Milano nel settore cardiochirurgia, cardiologia ed emodialisi

Dal 1985 Consulente del Laboratorio di Biomateriali dell’Università di Modena

1997-1999: Direttore Scientifico del progetto Biosa per lo sviluppo di una valvola cardiaca di pericardio bovino.

1985-1995: Consulente scientifico di Angiocor – Lille (Francia) per lo sviluppo di filtri per vena cava

1996-2003 Consulente scientifico di ALN – Bormes les Mimosas (Francia) per lo sviluppo di un filtro per vena cava estraibile.

2003 Consulente scientifico del Progetto Mondiale per l’applicazione ultrafase alle tecniche di elettrocardiografia.

Dal 2004 Direttore scientifico del laboratorio Nanodiagnostics di Modena.

Dal 2005 consulente dell’Osservatorio Militare italiano.

Dal 2007 consulente del senatore Fernando Rossi per questioni ambientali.

Svolge consulenze per Procure della Repubblica e per vari enti su questioni ambientali.

Inventore di un filtro per vena cava estraibile, di una valvola cardiaca protesica, di un sistema per drenaggio pleurico, di un’apparecchiatura per elettrofisiologia e stimolazione cardiaca transesofagea e transvenosa, di cateteri per elettrofisiologia transesofagea, di un sistema per la misura della produzione oraria di urina, di una sacca per urina con un sistema per prevenire le infezioni retrograde.

Insegnante a vari corsi di aggiornamento medico e tecnico sulla filtrazione cavale.

Insegnante a vari corsi di aggiornamento medico e tecnico sulle nanopatologie.

Dal 2004 insegnante all’Interuniversity Master in Nanotechology di Venezia (Università Ca’ Foscari, Università di Padova, Università di Verona)

Dal 2005 insegnante al master universitario in sviluppo sostenibile e promozione del territorio dell’università di Torino e della Comunità Europea

Autore di articoli scientifici sulla tecnica della filtrazione cavale e sulle tecniche di prevenzione della tromboembolia polmonare.

Coautore del libro “Tromboembolia Polmonare e Filtri cavali” curato da C. Rabbia e G. Emanuelli (Il Pensiero Scientifico Editore), 2000

Autore di numerosi articoli scientifici sulle nanopatologie e coautore di un volume pubblicato negli USA (“Handbook of Nanostructured Biomaterials and Their Applications in Nanobiotechnology” a cura di H.S. Nalwa, pubblicato da American Scientific Publishers), 2006

Autore con A.M. Gatti del libro “Nanopathology ” edito da Pan Stanford, 2007.

Autore del DVD con libro “L’insidia delle polveri sottili ” editore Macro, 2007

Autore del libro “Il girone delle polveri sottili ” sull’inquinamento da polveri, editore Macro, 2007

Curatore del libro “Lo stivale di Barabba ” sul problema dei rifiuti, editore Arianna Editrice, 2008

Autore del libro di narrativa “La carne addosso”, editore Serarcangeli, 2003


Alcuni articoli:

Gatti, Montanari “La trombolisi meccanica secondo Lefevre” Boll. Soc. Ital. Chirurgia endovascolare, Maggio-Agosto, 32-3, 1994.

Gatti, Montanari, “La filtrazione cavale temporanea a media permanenza,” Boll. Soc.Ital. Chirurgia endovascolare, Sett.Dic  (Anno II n. 4), 33-34, 1994.

Gatti, Montanari, Emanuelli Physical-chemical characterization of explanted vena cava filters, Medical & Biological Engineering & Computing Vol.35, Suppl.Part 1, Sett 1997 (B12-OS3.04) p.69.

Gatti, Montanari (rivista telematica) “Le nano patologie ”in L’Archivio Medicine

Gatti, Montanari, Monari, Gambarelli, Capitani, Parisini Detection of micro and nanosized biocompatible particles in blood. J. of Mat. Sci. Mat in Med. 15 (4): 469-472, April 2004

A. Gatti, S. Montanari “ Approccio bioingegneristico alla Sindrome dei Balcani” Fisica in Medicina 2004, n.2 , 107-114.

AM. Gatti, Montanari “ La cosidetta sindrome dei Balcani: un approccio bioingegneristico (english version) ; (french version)  “Le soi-disant < syndrome des Balkans>: une approche biologique”

A. Gatti, S. Montanari, “Retrieval analysis of clinical explanted vena cava filters” J Biomed Mat Res Part B: Appli Biomater 77B: 307-314; 2006

A. Gatti, S. Montanari, A. Gambarelli, F. Capitani, R. Salvatori “ In-vivo short- and long-term evaluation of the interaction material-blood” Journal of Materials Science Materials in Medicine, 2005, 16, 1213-19

S. Montanari, A.M. Gatti, “Nanopathology and nanosafety”, Proceedings of the International School on Advanced Material Science and Technology “G. Occhialini” – Course VII 6-9 sett. 2005 , Jesi, Ancona, p.174-195

A.Gatti, D. Tossini, A. Gambarelli, S. Montanari, F. Capitani “Environmental Scanning Electron Microscope and Energy Dispersive System investigation of inorganic micro- and nano-partciles in bread and biscuits”. In pubblicazione presso Critical Reviews in Food Science and Nutrition.

 

Importanti documenti in PDF scaricabili dal suo Blog


LE NANOPATOLOGIE
di
dott.ssa Antonietta Morena Gatti
dott. Stefano Montanari


Nell'ambiente in cui viviamo sono presenti miriadi di sostanze inorganiche sotto forma di minuscole particelle. L'aria, l'acqua, i cibi le ospitano in più o meno grande abbondanza. Si tratta per lo più di polveri sottili la cui esistenza è sempre stata nota, ma di cui poco, anzi, pochissimo ci si è occupati fino ad un recente passato. Noi respiriamo l'aria e, inevitabilmente, con questa ci trasciniamo al seguito e introduciamo nei polmoni tutto quanto nell'aria sta sospeso, compatibilmente con le dimensioni. Gli alimenti contengono microscopici granelli che provengono a loro volta dall'ambiente o da certe metodiche di lavorazione come, per non fare che un esempio, la macinazione della farina con mole che, consumandosi, non possono che perdere materiale. Ci sono, poi, circostanze in cui particolati inorganici vengono aggiunti di proposito, come nel caso di dentifrici e di gomme da masticare, con una funzione abrasiva per la detersione dei denti. Nemmeno l'acqua è esente da questa sorta d'inquinamento. Ma qual è la sorte di quelle particelle una volta che siano entrate in contatto così intimo con il nostro organismo attraverso la respirazione o l'ingestione? Molto sbrigativamente e senza averne mai cercato veramente le prove, si è preferito trascurare il problema e pensare che non succedesse proprio nulla: questa "roba" non meglio classificata veniva inspirata e poi espirata senza lasciare traccia; veniva mangiata o bevuta o, comunque, introdotta e poi eliminata attraverso l'intestino o i reni e tutto finiva lì, senza lasciare traccia.
Malauguratamente l'assunto non è vero o, quanto meno, non lo è del tutto.
Alcuni anni fa capitò quasi casualmente all'osservazione del nostro Laboratorio di Biomateriali dell'Università di Modena e Reggio Emilia un filtro cavale che era restato impiantato per qualche tempo in un paziente e poi si era rotto, inducendo il chirurgo ad espiantarlo. Un filtro cavale altro non è se non un piccolo dispositivo metallico passivo che viene sistemato all'interno della vena cava - il vaso che raccoglie il sangue venoso dagli arti inferiori e dal bacino e lo porta attraverso il cuore fino ai polmoni - per arrestare i trombi che embolizzano, cioè i coaguli di sangue che si formano patologicamente nelle vene e che, frammentandosi, terminano la loro corsa nei polmoni, causando la cosiddetta tromboembolia polmonare. Sulla superficie di questo presidio trovammo delle sostanze inorganiche estranee tanto al materiale di cui il filtro era costituito quanto alla composizione dell'organismo: titanio ed alluminio, tra le altre. Il rilevamento era allora curioso e difficilmente spiegabile, tanto che, poiché ci mancavano altri riscontri, essendo allora i filtri cavali espiantati dal paziente un reperto rarissimo, accantonammo il dato in attesa di un'occasione per poter esaminare altri casi simili.
Passò qualche anno e, anche quella volta quasi per caso, ci vennero consegnati dei campioni bioptici epatici e renali provenienti da un paziente che soffriva di disturbi piuttosto gravi la cui natura non era mai stata accertata. In quelle piccole porzioni di tessuto, segnatamente in aree granulomatose, trovammo delle particelle di ceramica, la stessa con cui era stata costruita una protesi dentaria che il paziente portava, con ben poca soddisfazione, in bocca. Il motivo dell'insoddisfazione stava in una cattiva occlusione cui l'odontoiatra aveva cercato di porre rimedio limando la ceramica. I residui di quell'operazione erano stati inghiottiti per lungo tempo dal paziente e sequestrati dal suo fegato e dai suoi reni dove, a quanto era lecito ipotizzare, avevano provocato la granulomatosi che i medici avevano diagnosticato.
Fu quella la scintilla che innescò definitivamente il nostro interesse. Cercammo negli archivi della nostra università dei reperti bioptici di granulomatosi e questi, nella grande maggioranza dei casi, rivelarono la presenza di particelle inorganiche, principalmente sotto forma di metalli puri o, più spesso, legati. Ma anche non-metalli, il silicio fra tutti, facevano parte non di rado dei ritrovamenti.
Questi materiali sono impossibili da identificare con i metodi istologici tradizionali. Con un approccio squisitamente da fisici, sviluppammo allora una nuova tecnica di microscopia che permettesse di rilevare quelle presenze e di analizzarle dal punto di vista della chimica qualitativa. Con l'aiuto di una grande azienda olandese, e grazie ad un finanziamento della Comunità Europea che ci permise di acquistarlo, mettemmo a punto un microscopio elettronico che non richiede la metallizzazione dei campioni, cioè la loro ricopertura con un sottilissimo strato d'oro che costituirebbe un ostacolo, quando non un impedimento assoluto, al riconoscimento e all'analisi di quanto rappresenta l'obiettivo delle nostre ricerche. Il nuovo apparecchio, inoltre, consente di osservare i tessuti "freschi", cioè appena prelevati, facilitando con ciò il nostro lavoro.
Il passo logico ulteriore era confrontare i tessuti patologici con quelli sani per accertarci che le particelle sotto inchiesta avessero davvero un significato patologico, qualunque esso fosse, ed effettivamente non ne trovammo traccia dove non c'era malattia.
Sempre più incuriositi, ci facemmo consegnare reperti provenienti da altre patologie, in particolare quelle infiammatorie come certe forme di aneurisma aortico e il morbo di Crohn. Particelle inorganiche concentrate anche in quei casi.
Nel frattempo si era reso disponibile un nuovo tipo di filtro cavale con caratteristiche particolarmente interessanti. Questo, infatti, poteva essere espiantato, senza intervenire chirurgicamente, anche dopo parecchi mesi dall'impianto. Non di rado il dispositivo recuperato dal paziente contiene piccoli trombi e, laddove c'è contatto con la parete vascolare, è ricoperto per poco più di un millimetro da fibrina o tessuto di natura connettivale. Anche in questi reperti, e più specificamente nei trombi, riscontrammo la presenza di particelle inorganiche: per esempio, tra gli altri, argento in un caso, solfato di bario in un altro, talco in un altro ancora.
L'argento è relativamente poco spiegabile, a meno che non se ne postuli una provenienza ambientale. Di fatto, l'argento era presente nel particolato rinvenuto nell'aria cittadina di vie centrali di Bologna e di Modena in cui effettuammo dei rilevamenti. Un'esposizione, specie se assidua, ad una tale fonte d'inquinamento potrebbe spiegare l'ingresso delle particelle nel sistema respiratorio e, di lì, nel circolo sanguigno. Naturalmente, come per i risultati delle altre analisi, non esiste sicurezza e restiamo nel campo delle ipotesi.
Per ciò che riguarda il solfato di bario, la paziente nella quale lo individuammo era stata operata ad un arto per un sarcoma. Il solo contatto che la signora ricordasse con il solfato di bario era avvenuto ventisei anni prima dell'atto chirurgico, nel corso di un'indagine radiologica sul tubo digerente. Che il composto sia stato sequestrato dal tessuto muscolare per esserne liberato dal chirurgo che tale tessuto aveva inciso? E' un'ipotesi.
E il talco? Il talco è un eccipiente usato dall'industria farmaceutica per il confezionamento di compresse. Altro è difficile dire.
Il fatto indiscutibile che abbiamo osservato è che questo materiale inorganico è presente all'interno dei trombi e una delle ipotesi plausibili è quella che il materiale quei trombi li abbia provocati. Trombosi venosa profonda significa possibilità di embolia polmonare, con tutte le ripercussioni a livello cardio-respiratorio che l'affezione comporta. E se quei trombi si formassero direttamente nel sangue e non sulla parete del vaso come si è sempre detto ed osservato? Questo complicherebbe la diagnosi ma potrebbe spiegare certe forme di embolia, più o meno gravi, delle quali non si riesce a stabilire la provenienza. Ipotesi, naturalmente; domande che attendono risposta alla luce di quanto di nuovo stiamo osservando. Ciò che ci proponiamo ora di sottoporre ad indagine è il materiale che si estrae dalle carotidi ateromatose e quello che si trova nelle coronarie infartuate, per cercare di fare migliore luce su patologie vascolari e cardio-circolatorie così frequenti e così gravi.
A livello polmonare non è che le cose vadano meglio: granulomatosi e fibrosi contengono quasi invariabilmente particolato inorganico. L'ipotesi più probabile è che questo sia di origine atmosferica, pur non potendo escluderne una alimentare o farmacologica in cui la struttura polmonare abbia agito né più né meno da filtro.
E a proposito dell'aria che respiriamo, tra i pericoli che quella forma volontaria di autoinquinamento che è il fumo di tabacco si porta con sé c'è pure quello arrecato da particelle inorganiche. Secondo quanto abbiamo osservato direttamente, il fumo veicola facilmente quel tipo di materiale, ritrovato poi, come ci aspettavamo, nella mucosa orale di tumori della bocca.
Ancora in campo oncologico, un altro caso che ha destato il nostro interesse è quello dei linfomi cui sono andati soggetti alcuni militari reduci dalla cosiddetta guerra dei Balcani. Tutti i reperti bioptici dei tessuti interessati dalla patologia che ci sono stati consegnati contenevano particolato inorganico.
Riassumendo e, forse, semplificando parecchio i dati in nostro possesso, ciò che abbiamo visto è che non poche patologie, spesso classificate come di origine ignota, comportano la presenza di particelle inorganiche nel tessuto malato o, come avviene in certe forme di cancro, nell'interfaccia tra tessuto sano e tessuto malato. La natura chimica di questi materiali non pare rilevante: che si tratti di metalli, di ceramiche o di altro non ha finora dimostrato d'influenzare l'insorgere o il progredire di una malattia. Ciò che sembra avere importanza è la granulometria dei particolati e la loro concentrazione. Più si va in profondità nei tessuti, minore è la dimensione delle particelle presenti: da qualche decina di micron a qualche decina di nanometri (un nanometro equivale ad un millesimo di micron che, a sua volta, equivale ad un millesimo di millimetro.) Potrebbe esistere, poi, una sorta di concentrazione critica al di là della quale s'innesca la malattia. Un altro fatto interessante è quello della selettività degli organi e dei tessuti. Il rene, infatti, pare trattenere le particelle piccole, quelle di 6 micron, laddove il fegato, per esempio, seleziona quelle intorno ai 20 micron.
Una domanda naturale è: sono le particelle ad originare la patologia o sono i tessuti patologici a trattenere le particelle? Non lo sappiamo ancora con certezza, anche se la prima ipotesi sembra essere di gran lunga la più probabile.
E poi, perché solo una minoranza di una popolazione sottoposta a sollecitazioni come quelle descritte sviluppa una patologia? Esistono predisposizioni naturali? Se sì, di che tipo? E se esistono predisposizioni, esistono anche difese? E queste difese possono in qualche modo essere ampliate e potenziate?
Un'altra domanda è: che cosa si può fare per prevenire il problema? Per rispondere ci sarà da lavorare parecchio, con l'aiuto di tutti, senza preconcetti e senza che ognuno cerchi di difendere una propria posizione d'interesse, si tratti dell'industria alimentare, di quella farmaceutica, di quella del tabacco, di quella petrolifera, di quella automobilistica e, in fondo, di tutti coloro che, in un modo o nell'altro, con la loro attività modifichino l'ambiente, con questo termine intendendo anche quello che sta sotto la nostra pelle. Il compito è difficile, è facile rendersene conto.
Al momento la Comunità Europea sta finanziando una ricerca su questo tipo di malattie, disomogenee se classificate secondo i criteri tradizionali, battezzate "nanopatologie" proprio per la presenza di queste minuscole particelle. Il nostro laboratorio ha lanciato a suo tempo l'idea ed ora è il primo responsabile dell'impresa, vastissima per scopi, che coinvolge anche università e centri di ricerca inglesi, francesi e tedeschi. Altro denaro ed altre forze sono necessari, ma l'obiettivo è importante: la salute di tutti.